Abbiamo conosciuto Franco Mondini in un giorno di primavera, nel 2008. Si presentò in negozio per la prima volta.
“Mi hanno parlato bene di voi”. Ci portò una borsa con almeno 30 paia di bacchette, ognuna diversa dall’altra, chiedendoci di permutargliele: erano tutte spaiate, alcune usate ma per il rispetto che gli dovevamo, non ci sentivamo di dirgli di no e lo accontentammo, in qualche maniera.
“Sono un rompicoglioni e vi farò impazzire ma, credetemi: diventerò un ottimo cliente. E soprattutto, diventeremo amici”.
E aveva ragione. Su entrambe le cose.
Franco era una delle persone che più abbiamo visto cazzeggiare in negozio; memorabile un giorno di gennaio di tanti anni fa in cui c’era, letteralmente, un metro di neve in strada e ad un certo punto suonarono alla porta: era lui. Con la sua 500 era venuto fin da noi a comprare chissà che, unico cliente di quel giorno.
Ci fermavamo spesso a chiacchierare al bar, noi col caffè e lui con la birra d’ordinanza. Era una di quelle persone ricche di aneddoti e l’avevamo conosciuto anche attraverso due libri da lui scritti: “Fuck Fiction” e “Sulla strada con Chet Baker e tutti gli altri”.
Entrambi autobiografici: crudo, con continui flashback e senza sconti il primo, un saliscendi nella vita di un giovane musicista a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, fatta di droghe, sesso, viaggi e l’arte di arrangiarsi, con ricordi della Resistenza, della guerra e della fame, visti con gli occhi di un bambino; più di costume il secondo, un vero ritratto di quello che è stato il jazz in nuce in Italia, con tante divertenti storie e personaggi che a noi possono sembrare incredibili.
Non è da tutti poter raccontare di aver passato settimane con Philly Joe Jones in una casa di Torino, di aver suonato in apertura a Miles Davis o di aver suonato per anni con Chet Baker.
A tal proposito Franco ci raccontava sempre e non senza orgoglio, che intervistato appena uscito dopo sedici mesi di prigione, un giornalista di rotocalco chiese a Baker cosa intendesse fare da quel momento in avanti. “Per prima cosa chiamo Franco Mondini e formeremo un gruppo insieme”. E quando ce lo raccontava, Franco si illuminava.
Quando un nostro caro amico gli disse che era stata una gran fortuna aver suonato con Chet Baker, Mondini replicò alla sua maniera: “Fortuna un cazzo, non ci ho suonato una sera per caso! Ci ho suonato per anni!”. Amen.
Memorabile pure quando anni fa, ad una clinic con Mike Clark, quest’ultimo si inchinò quando gli presentarono Franco, chiamandolo Maestro.
Ha conosciuto ed è stato amico di tutti i più grandi musicisti jazz al mondo. Spesso parlavamo dello stato del jazz in Italia e non era molto diplomatico: salvava la sua amicizia con Enrico Rava, di cui era stato mentore, e pochi altri. Fondamentalmente, lo annoiava. Forse è stata questa la ragione per cui ha lasciato l’attività di musicista professionista per dedicarsi al giornalismo, diventando una penna de La Stampa.
Spesso quando mettevamo su qualche disco jazz gli chiedevamo se sapesse di chi fosse: solo ascoltando due note era in grado di dirti pure il nome del produttore. Era un fanatico della musica. A casa sua c’erano scaffali pieni di cimeli e la raccolta continuava.
Era innamorato di Billie Holiday. “La più gran fica mai vista sulla terra”. Ogni tanto si fermava in ufficio a guardare un poster proprio della Holiday. “Me lo vendi? Dove l’hai comprato?”.
Glielo regalammo un giorno, identico e incorniciato, e lo vedemmo poi a casa sua durante una visita, in bella mostra in salotto.
Non aveva un carattere facile: con lui ogni giorno era una sorpresa. Ci ha mandato a fare in culo innumerevoli volte, senza mezzi termini, perché magari non gli piaceva una cosa o perché non lo servivamo come desiderava e non si contano le volte in cui ci abbracciava dicendoci di volerci bene e che eravamo suoi fratelli. “Siamo amici, cazzo!”. Con lui si poteva parlare davvero di tutto come se fosse un ragazzino.
Abbiamo avuto la fortuna di vederlo suonare dal vivo e, ragazzi, con quelle spazzole volava come una farfalla. Negli ultimi anni si era dedicato allo studio delle percussioni, ma poi tornava sempre su cassa, rullante e ride.
Era un gran trafficone, con permute continue e non si contano le volte in cui veniva in negozio alla ricerca della bacchetta perfetta, sua vera ossessione. Inutile dire che si innamorava sempre di modelli fuori produzione o irreperibili, facendoci impazzire ogni volta alla ricerca dell’impossibile.
Da un po’ di tempo non lo vedevamo più e anche gli amici in comune non ne sapevano nulla.
Oggi, la notizia della sua scomparsa. Ci spiace di non averlo più cercato, di non esserci più informati sul suo stato di salute e di non averlo salutato come avremmo voluto.
Ne siamo sicuri, per questo ci avrebbe mandati a fare in culo ancora una volta. Per poi abbracciarci subito dopo.
Ciao Franco, ti abbiamo voluto bene!
Franco, in una delle innumerevoli volte in cui comprava un rullante per riportarcelo indietro il giorno dopo dicendoci che gli faceva schifo