Se già ci sembrava davvero molto fico che RingoMusic fosse stato l’unico drumstore italiano invitato allo stabilimento di Oxnard in California, dove la DW Drum Workshop Inc. ha il suo quartier generale, il meglio sarebbe ancora dovuto arrivare.
(Della nostra avventura al Namm abbiamo già scritto, vi avevamo promesso un ampio reportage del factory tour alla DW e anche questo, abbiate fede, è in arrivo, nda)
Lo scorso gennaio ci siamo trovati nel famoso studio immortalato in decine di video, lì dove DW presenta tutte le novità e lì dove John Good svela le ultime uscite. Ebbene, per una volta in quella sala c’eravamo pure noi. E lui e Don Lombardi, lo storico fondatore e tutt’ora presidente di DW Drum Workshop Inc.
Eravamo seduti lì: alle nostre spalle c’era Steve Ferrone, pochi minuti prima avevamo incrociato Giovanni Hidalgo in un corridoio mentre cercavamo dell’acqua, Ralph Johnson degli Earth, Wind & Fire era due sedie più in là, Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers era stato avvistato pochi minuti prima. Noi, ospiti in una stanza insieme a metà del groove mondiale (e tanti altri ci sfuggono…).
John Good è persona estremamente affabile, di ciò di cui ha parlato racconteremo in un’altra puntata sul nostro blog e saltiamo a piè pari direttamente al momento in cui ci siamo realmente conosciuti.
Alla fine del meeting, da buon padrone di casa, John ci avvicina: “Hey Ringo, I know you!”. Ok, ci conosce. Partono i convenevoli, ma l’Italia fa sempre breccia nel cuore degli americani: “I used to live in Pino Torinese in the 70’s”. “We run a shop in Torino”. E’ subito groove.
John Good ama l’Italia. E soprattutto Torino. E’ una città a cui è molto legato, ci prende in simpatia, ci dice di visitarla regolarmente ogni volta che capita in Italia e snocciola nomi di piazze, luoghi e locali che solo chi respira la nostra città conosce davvero. Dopo una bella chiacchierata insieme ci congediamo lasciandogli come cortesia un biglietto da visita. Ci ringrazia in maniera davvero affettuosa e promette di venirci a trovare al prossimo giro in Italia.
Noi pensiamo sia un classico “Oh, ma guarda che ti chiamo, promesso!”, “Lasciami il tuo numero e mi faccio sentire”, “Sì, sì, poi organizziamo una sera, ti faccio sapere, è che ora c’ho un casino di cose da sbrigare…”: insomma, le classiche situazioni in cui ci siamo trovati mille volte nella vita, soprattutto dopo un concerto quando cercavamo di approcciare una ragazza del pubblico che poi, si sa, non avrebbe mai chiamato nè si sarebbe presentata più ai nostri concerti.
Passano le settimane, presi dalla quotidianità del nostro lavoro non ci ricordiamo della promessa di John.
Martedì 5 marzo, al mattino, ci arriva un messaggio sul telefono: “Sono Esther, la moglie di John Good della DW. Siamo venuti a Torino e ci farebbe piacere passare in negozio a salutarvi”.
Ok, ok, ok. Dopo noi che andiamo alla DW, la DW viene da noi. Tutto normale.
La prima cosa a cui pensiamo, da buoni italiani, è di allestire un banchetto con del cibo. E’ martedì grasso, di corsa in pasticceria a comprare quelle che qui si chiamano bugie (o chiacchiere, o frappe, insomma quelle cose fritte da carnevale).
Poco prima delle 15 in negozio ci sono dei clienti, un rappresentante e poi arriva John Good: “Ero a Milano per scegliere dei legni (poi vi racconteremo, nda) e ho detto: ‘voglio andare a trovare i miei amici di RingoMusic'”.
Lo accogliamo con un grande sorriso, sembra passato per un saluto veloce (“mia moglie vuole fare shopping”) e invece rimane oltre due ore a parlare poco di batteria e molto di musica. E questo già basterebbe a volergli bene.
E’ completamente assorbito dalla musica, la sua cultura nel settore non ha confini e contrariamente a quel che immaginavamo, non sfiora nemmeno argomenti troppo tecnici relativi alla costruzione degli strumenti.
E’ una persona molto curiosa, è interessato ad ascoltare e ascoltarlo ci piace perché è ricco di aneddoti: ci racconta del suo passato come roadie di Frank Zappa, esperienza che ora ricorda ridendo ma che gli ha provocato un grave infortunio alla schiena, ci racconta dei suoi 5 anni a Torino, ci racconta che ama le finiture esotiche e che ha un problema con il colore turchese (“sono cresciuto in una casa dove tutto era azzurro, dal pavimento alle stoviglie alla staccionata del cortile: forse è l’unico colore che mi viene a noia”). Ogni parola trasuda passione per il suo lavoro ed è realmente coinvolto in ogni processo produttivo della DW (“La cosa che mi piace di più del mio lavoro? Andare nelle stanze a sentire il timbro di ogni singolo fusto”).
I minuti scivolano via e nel frattempo arriva anche la moglie Esther, che si intrattiene con noi e sembra molto a suo agio. Anzi, ci racconta anche aneddoti di vita familiare, come quando per i 60 anni di John si adoperò nel trovare il suo primo set posseduto e fece la spola in gran segreto e svariate volte tra casa e il Professional Drum di Los Angeles, che dista 4 ore di auto da casa di John Good, per andare ogni volta a cercare i ricambi e gli accessori per restaurare il set da regalare al marito (per inciso: Professional Drum è la Mecca dei drumstore a livello mondiale: lì è facile trovare il sabato pomeriggio, a zonzo, Danny Carey provare rullanti così come anni fa erano di casa Neil Peart, Hal Blaine o Buddy Rich, nda). Il tutto senza farsi scoprire e facendogli una bellissima sorpresa.
John ci chiede alcune foto con lui, scattate dalla moglie Esther ed è davvero entusiasta: ci dice che RingoMusic gli ricorda i drumstore di Chicago, quelli old school, con un’anima.
“This place has a soul, you have the groove”: non sono parole di circostanza e siamo felici che a dirle sia un personaggio del suo calibro. Quando gli diciamo che ora in negozio non riusciamo più a far entrare nemmeno un paio di bacchette e che vorremmo spostarci in un posto più grande ci dice, testualmente, “Rimanete qui: questo è un posto bellissimo, avete tantissima roba, è caldo e accogliente: non fate l’ennesimo magazzino senz’anima”. Quello, noi, mai: John, stai tranquillo.
Gli raccontiamo che quando abbiamo aperto, anni fa, eravamo talmente spiantati che molte aziende non ci volevano nemmeno servire: e allora abbiamo pensato di andare a bussare ai più grandi e che poi tutti gli altri marchi sarebbero arrivati. E così abbiamo fatto: DW è stato il marchio che ha fatto da apripista a tutti gli altri. Lui ride di questo e ci dice che abbiamo adottato una strategia giusta.
Ci dice di essere stato nel nord Italia e in Germania a scegliere dei nuovi legni per il 2020: gli chiediamo come faccia a sapere che suonino poi bene, una volta trasformati in fusti ma la nostra è una domanda retorica. “Trust me, if I say they’ll sound good, they’ll sound good!” e scoppia in una risata.
Dopo altre chiacchierate ci salutiamo promettendogli che il prossimo anno passeremo nuovamente alla DW a trovarlo per organizzare qualcosa insieme.
Gli regaliamo una bottiglia di Barbaresco Asili Riserva del 2013 e gli chiediamo di berla alla nostra salute, in California.
Da noi sono passati tanti guru, tanti artisti, tanti personaggi davvero influenti per il nostro piccolo mondo: ma mai ci saremmo aspettati John Good, vice presidente della Drum Workshop Inc.
Siamo molto orgogliosi che ci abbia dedicato parte del suo tempo e che nei giorni seguenti ci abbia ancora mandato messaggi per ringraziarci per la nostra ospitalità con un corredo di complimenti che un po’ anche ci imbarazzano. Il suo è stato un savoir faire che raramente abbiamo riscontrato in tanti anni di attività.
Se avessimo avuto un negozio di moda, sarebbe stato come ricevere una visita da parte di Giorgio Armani in persona. Noi vendiamo tamburi e più su di John Good, davvero, non c’è nessuno.
Ciao John, ad maiora!